Dall’approdo dell’Ariminus ad Ariminum

A siglare il passaggio dall’occupazione celtica alla nascita della colonia romana di Ariminum nel 268 a.C. è una serie di monete fuse (aes grave) di emissione locale. La chioma a ciocche, i lunghi baffi, il torquis al collo identificano un guerriero celta nel profilo maschile sul dritto della moneta. Più complessa e ancora insoluta l’attribuzione a una zecca gallica (nell’orbita di alleanze etrusche contro Roma) o piuttosto romana (da associare a un avamposto creato all’indomani della disfatta dei Galli Senoni). Sposando quest’ultima tesi, si interpreta la monetazione fusa come espressione della volontà, da parte di Roma, di avviare un processo di integrazione con i Galli.
Alla fondazione della colonia si accompagna l’emissione della serie coniata in bronzo con al dritto il busto di Vulcano, o di un guerriero con grande scudo, associato alla scritta ARIMN. È la prima testimonianza del nome della città. La circolazione anche di monete della zecca di Roma è attestata dall’impronta di un’uncia sul fondo di una coppa a vernice nera.
Entrambe le emissioni riminesi si ritrovano nel deposito rinvenuto nel 1987 alla base di un torrione delle mura repubblicane a fianco dell’Arco di Augusto: lo compongono vasetti in ceramica e ossa dello scheletro di un piccolo cane insieme a due monete della serie coniata e una della serie fusa. Si tratterebbe di un deposito votivo in occasione del rito di fondazione della colonia: l’offerta, con il sacrificio di un animale agli dei, consacrava e rafforzava il potere difensivo delle mura.
Sempre al momento coloniale rimandano i pocola deorum, i “vasi dedicati agli dei” con iscrizioni suddipinte e graffite. In ceramica a vernice nera, i pocola propagano una tradizione centro-italica, confermando il legame dei coloni con l’area di provenienza. Per lo più di produzione locale, questi “souvenir” religiosi sono una fonte sui culti (fra gli dei più gettonati Ercole, ricordato dall’iniziale H, e Apollo) e sull’organizzazione di Ariminum in vici (quartieri) e pagi (villaggi).
La fase della romanizzazione è documentata anche dallo scavo di palazzo Arpesella, nel centro della città. Una buca di scarico ha restituito vasellame in ceramica rozza e a vernice nera, anfore, ossa di animali, carboni e legno. Predominante la ceramica da cucina, verosimilmente di produzione locale, con olle da fuoco di forma ovoide e piatti-coperchio, datati fra il 325 e il 250/225 a.C..